Anatocismo Bancario

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L’anatocismo bancario è quella pratica in forza della quale gli interessi a debito del correntista venivano liquidati (sul conto) con frequenza trimestrale, mentre gli interessi a credito dello stesso erano liquidati con cadenza annuale. Ciò provoca una differenziazione nella maturazione degli interessi a debito ed il conseguente fenomeno dell'anatocismo, perché vengono calcolati interessi su interessi, secondo le modalità sopra descritte.

La disciplina legale dell'anatocismo bancario, con l'art. 17-bis della legge n. 49/2016 di conversione del "decreto banche" n. 18/2016 - in vigore dal 15 aprile scorso – è stata modificata con  l'art. 120, comma secondo, del Testo Unico Bancario, consentendo ora sui conti correnti l'anatocismo annuale e prevedendo che il cliente possa scegliere di evitarlo pagando gli interessi nel momento in cui diventano esigibili.

La disciplina richiamata prevede un divieto di capitalizzazione che non si applica agli interessi di mora, né agli interessi maturati su saldo passivo di conto corrente, sia in caso di presenza di un'apertura di credito, sia in caso di conto meramente scoperto per superamento del limite del fido o per inesistenza di affidamento.

In tal caso (conto passivo nei limiti del fido oppure scoperto), in base al nuovo art. 120 TUB gli interessi debitori vanno conteggiati al 31 dicembre di ogni anno e divengono esigibili il 1º marzo dell'anno successivo a quello in cui sono maturati, nonché, immediatamente, in caso di chiusura definitiva del rapporto.

La disposizione prevede che il correntista possa autorizzare l'addebito in conto degli interessi in tal modo disciplinati nel momento in cui divengono esigibili (1° marzo di ogni anno o al momento della chiusura del conto). In tal caso l’importo contabilizzato è considerato sorte capitale e quindi determina anatocismo annuale. La disposizione è revocabile dal correntista in ogni momento, purché prima che l'addebito abbia avuto luogo.

Qualora, invece, il cliente non autorizzi preventivamente l'addebito, le alternative sono tre.

La prima è che lo autorizzi all'atto della liquidazione; in questo caso gli interessi diventano comunque capitale e si produce anatocismo.

La seconda è che non autorizzi l'addebito ed effettui un versamento che ripiani gli interessi; in tal caso l'anatocismo non si produce perché il debito viene estinto.

La terza ipotesi è che non faccia né l'una né l'altra cosa; in tale eventualità il debito scaduto e non pagato, né addebitato in conto, entra automaticamente in mora ai sensi dell'art. 1219, secondo comma, n. 3 c.c., quindi si applica l'eccezione al divieto di anatocismo prevista per gli interessi moratori e, pertanto, la banca può capitalizzare anche senza addebitare il conto, contabilizzando gli interessi a parte finché il cliente non li paga, maggiorati della quota anatocistica fino a quel momento maturata, ovvero autorizza l'addebito a posteriori, consentendo agli interessi di produrre ulteriore capitalizzazione sul conto.


Le novità sono quindi più d'una e sono di indubbio rilievo.
Il legislatore, innanzitutto, è tornato espressamente ad autorizzare la capitalizzazione; cosa, questa, quantomeno dubbia a partire dall'1.1.2014, alla luce della versione dell'art. 120 TUB vigente da tale data che era sembrata ai più vietare in radice il fenomeno anatocistico. In secondo luogo è variata la periodicità di liquidazione e capitalizzazione che ora, anziché trimestrale, deve essere almeno annuale, oltreché reciproca.
Infine il legislatore ha attribuito in ultima analisi al cliente la scelta se subire o meno l'anatocismo, introducendo però la regola di temperamento secondo la quale chi non lo desidera deve pagare il debito per interessi nel momento in cui scade, mentre non è possibile non pagare ed essere al contempo esenti da capitalizzazione.

Favorevole alla clientela è poi la previsione di una periodicità non più libera (di norma, in passato, trimestrale), ma solo annuale, la quale inciderà inevitabilmente sui conti economici delle aziende di credito.

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